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Fonte: The European Conservative

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha nuovamente aumentato il proprio stipendio, insieme a quello dei colleghi burocrati di Bruxelles, nonostante le crescenti pressioni finanziarie in tutta l’Unione.

Con effetto retroattivo al 1° luglio, i funzionari e i commissari dell’Unione europea riceveranno un ulteriore aumento di stipendio del 3%, che segna l’ottavo aumento dall’inizio del 2022. Il personale di Bruxelles ora guadagna fino a 26.000 euro al mese, mentre lo stipendio base mensile di Von der Leyen aumenta di circa 1.000 euro, arrivando a 35.800 euro retroattivamente.

I 26 commissari riceveranno 850 euro in più, raggiungendo così i 29.250 euro, oltre alle generose esenzioni fiscali.

Alla fine del 2024, si era già registrato un aumento retroattivo del 7,3%, seguito da un ulteriore 1,2% all’inizio del 2025. Complessivamente, gli stipendi sono aumentati del 22,8% dal 2022. Senza bonus, lo stipendio base più basso ammonta ora a 3.754 euro, 110 euro in più rispetto a prima. Lo stipendio massimo per un funzionario dell’UE aumenta di circa 760 euro, arrivando a 25.986 euro retroattivi.

Anche i funzionari dell’UE in pensione beneficiano di questi aumenti. I 30.500 ex membri del personale avevano originariamente diritto al 70% del loro ultimo stipendio, ma i successivi aumenti salariali continuano ad aumentare tale importo. La spesa annuale per stipendi e indennità ammonta ora a 2,4 miliardi di euro e, secondo i calcoli della Commissione, si prevede che supererà i 3 miliardi di euro.

La strategia di von der Leyen di aumentare gli stipendi due volte l’anno è proseguita dal 2022. A titolo di paragone, l’attuale cancelliere tedesco Friedrich Merz (CDU) guadagna 30.200 euro al mese. Sommando l’indennità parlamentare di 10.600 euro e i supplementi aggiuntivi per 21.000 euro, il cancelliere in carica Merz percepisce poco meno di 62.000 euro al mese.

Questo continuo aumento degli stipendi arriva in un momento in cui l’UE si affanna a finanziare gli aiuti per l’Ucraina. Dopo la sospensione del sostegno degli Stati Uniti, Bruxelles ha promesso di coprire il fabbisogno di Kiev per il 2026 e il 2027. Mentre Von der Leyen definisce questo sostegno un dovere morale, le famiglie europee si trovano ad affrontare l’aumento dei prezzi dell’energia, l’inflazione e il declino industriale.

original article:
Von der Leyen Boosts Her Own Salary—While Pushing EU Further Into Debt

European Commission President Ursula von der Leyen has once again increased her own salary, along with those of fellow Brussels bureaucrats, despite growing financial pressures across the Union.

Retroactive to July 1st, European Union officials and commissioners will receive an additional 3% pay rise, marking the eighth increase since the beginning of 2022. Brussels staff now earn up to €26,000 per month, while Von der Leyen’s monthly basic pay rises by roughly €1,000 to a retroactive €35,800.

The 26 commissioners will receive €850 more, now reaching €29,250, on top of generous tax-free allowances.

At the end of 2024, there had already been a retroactive raise of 7.3%, followed by another 1.2% at the beginning of 2025. Altogether, salaries have risen by 22.8% since 2022. Without bonuses, the lowest base salary now stands at €3,754—€110 more than before. The maximum salary for an EU official rises by roughly €760 to a retroactive €25,986.

Even retired EU officials benefit from these increases. The 30,500 former staff members were originally entitled to 70% of their last salary, but successive pay hikes continue to raise the amount. Annual expenditure for salaries and allowances now amounts to €2.4 billion, and according to Commission calculations, it is expected to surpass €3 billion.

Von der Leyen’s pattern of raising salaries has continued twice a year since 2022. In comparison, current German chancellor Friedrich Merz (CDU) earns €30,200 per month. Together with the parliamentary allowance of €10,600 and additional surcharges amounting to €21,000, incumbent Merz receives just under €62,000 per month.

This continual pattern of salary hikes comes at a time when the EU is scrambling to fund aid for Ukraine. Following the suspension of U.S. support, Brussels has promised to cover Kyiv’s needs for 2026 and 2027. While Von der Leyen frames this support as a moral duty, European families are facing rising energy prices, inflation, and industrial decline.

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A seguire un elenco di ufficiali nazisti ASSUNTI NEL DIRETTIVO DELLA NATO negli anni che seguirono la fine della II guerra mondiale

Pare veramente incredibile che dei criminali tra i peggiori mai esistiti siano riusciti non solamente a non essere puniti per le porcherie che hanno commesso contro il genere umano ma addirittura a essere retribuiti come ufficiali col denaro pubblico della NATO, il tutto nel silenzio più assordante, con la complicità di tutti i paesi aderenti.

Non vogliamo dimenticare…


Adolf Heusinger: Capo delle operazioni dello Stato Maggiore della Wehrmacht
Presidente del Comitato militare della NATO, 1961-1964


Hans Speidel: Capo di Stato Maggiore del Gruppo d’esercito “B” di Erwin Rommel
Comandante della NATO in Europa centrale, 1957-1963


Johann Steinhof: Asso dell’aviazione Luftwaffe sul fronte orientale
Presidente del Comitato militare della NATO, 1971-1974


Johann von Kleimanseg: Ufficiale di Stato Maggiore dell’Alto Comando della Wehrmacht
Comandante della NATO in Europa centrale, 1967-1968


Ernst Ferber: Ispettore dell’Alto Comando della Wehrmacht
Comandante della NATO in Europa centrale, 1973-1975


Karl Schnell: Ufficiale di stato maggiore del corpo carri armati della Wehrmacht
Comandante della NATO in Europa centrale, 1975-1977


Franz Josef Schultze: Ufficiale della Luftwaffe, Croce di Cavaliere
Comandante della NATO in Europa centrale, 1977-1979


Ferdinand Maria Johann Fridolin von Senger und Etterlin: Aiutante del Comando supremo della Wehrmacht
Comandante della NATO in Europa centrale, 1979-1983

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Fonte: Diritto.it

Il percorso giuridico che consente uno Stato membro di uscire dell’Eurozona e riacquistare la sovranità monetaria consta di molte proposte, ma le modalità saranno riassunte (senza pretese di esaustività) in questo contributo.
Esiste una parte dell’opinione pubblica, infatti, che ritiene la moneta denominata “Euro” la causa di tutti i mali economici del nostro Paese.
Questa porzione d’Italia è stanca e nutre disaffezione verso questo modo di governare l’Europa ; sono stanchi di sentirsi dire “ce lo chiede l’Europa” e non ritengono soddisfatti gli obiettivi posti dagli stessi trattati, non riuscendo a percepire la natura solidaristica dell’ Europa(si veda il caso della crisi greca), ma anzi riscontrando delle insanabili contraddizioni in molti articoli dei trattati, a partire dall’art. 3 del TUE; non capiscono in che modo l’art. 11 della cost. possa essere utilizzato per i fini di pace quando vi sono state molte guerre commerciali all’interno della U.E. [1]che aumentano le tensioni e i conflitti tra gli Stati; non si capisce come coniugare l’esasperata competizione commerciale con l’equità ed un welfare state degno di un Paese moderno; si critica la posizione di vantaggio dei tedeschi nei loro rapporti con l’Unione Europea; si contesta il pareggio di bilancio adottato in virtù del fiscal compact, perché a parere di molti opinionisti, legali ed economisti si vieterebbe di fare deficit e in questo modo di consentire una spesa pubblica che tenga conto di importanti investimenti oltre che di sostegno alla spesa pubblica2; se si ritiene che l’Europa “fortemente competitiva” sia neoliberista in quanto sia il preludio di un rapporto mercantilista tra stati , se si pensa che la crescita in questo modo non sia equilibrata e che anzi abbia posizioni antisolidaristiche(123,124,125 TFUE) e se si pensa che l’Europa, questa Europa sia soltanto una guerra finanziaria di asservimento della domanda degli stati vicini e che nulla abbia a che vedere con l’economia sociale di mercato visto che il lavoro è ridotto a merce come durante l’epoca liberista, allora l’unica strada è quella di ripristinare la sovranità monetaria.
L’uscita dall’Eurozona, lo premetto, non è un percorso condiviso per quanto riguarda la sua fattibilità da tutti gli studiosi di diritto, tuttavia vi sono autorevoli giuristi [3]che sostengono che sia possibile uscire dall’eurozona senza recedere dall’Unione europea.

Come si esce dall’Eurozona

Si ritiene di azionare gli art.139 e 140 TFUE, ossia si ipotizza di sfruttare il concetto degli stati membri con deroga e il loro regime transitorio applicabile, vista la condizione temporanea di tale status giuridico; in che senso? Nel senso che l’unione monetaria è un atto successivo rispetto all’instaurazione dell’UE(art.3par4), la moneta “Euro” non è un elemento fondante della personalità giuridica della UE, perciò non costituisce un obbligo, infatti vi sono degli Stati che pur facendo parte della UE non hanno aderito alla moneta unica; la moneta unica presuppone sempre il consenso dello Stato membro interessato, un consenso che poteva mancare fino alla fase deliberativa finale che prevede l’unanimità del Consiglio.
In altre parole, è ipotizzabile azionare un meccanismo legale inverso, che permetta allo Stato che non riesce o non trova conveniente questo status giuridico, di riconsiderare il suo percorso legale, rinunciando al provvedimento ampliativo che ha reso possibile l’entrata; non consta che esista una disposizione che vieti l’uscita dall’eurozona.
L’Euro, dunque, non coinciderebbe con l’Europa e in mancanza di divieti, la decisione dell’uscita non può che essere autonoma ed appartenere allo Stato membro, in quanto membro decidente del Consiglio, facendo venir meno l’unanimità originaria.
Ovviamente non basta che il Governo chieda di azionare tali articoli del trattato, ma occorrono atti giuridici che abbiano anche efficacia esterna, non bastando un semplice decreto legge; un decreto legge, pur avendo effetti interni, contrasterebbe con i vincoli sanciti dagli articoli 10,11 e 117 della costituzione.
Oltre ad un decreto legge (e successivamente la sua conversione in legge) che contemplasse nel dettaglio i provvedimenti di natura economica e dell’infrastruttura istituzionale occorrente, occorrerebbe anche una legge di rango costituzionale, in particolare modificando l’art.117 della costituzione.
I provvedimenti legislativi, inoltre, non possono disimpegnare lo Stato italiano dagli obblighi internazionali e comunitari, se non si vuole incorrere in vizi di costituzionalità, a meno che il Governo e la sua maggioranza(anche di revisione costituzionale) non accetti il rischio di lunghi contenziosi, di censure della Corte costituzionale che potrebbero rimuovere le leggi(anche costituzionali) o, in altri casi, la richiesta di abrogazione delle leggi da parte della Corte di Giustizia europea qualora lo stato membro violasse le disposizioni comunitarie.
Ricordo che uscire dall’Eurozona, significherebbe in ogni caso dover rendere conto alla Commissione, al Consiglio e alla Corte di giustizia europea, perché si rimarrebbe ancora nell’ambito dell’Unione europea.
Chi pensa di risolvere i problemi legali semplicemente non conformandosi alle molteplici autorità politiche e monetarie e alle sanzioni generalmente connesse(anche molto gravi),dovrà ricredersi.
I “sovranisti” devono capire che siamo interconnessi non solo economicamente, ma anche legalmente e che il quadro normativo europeo o internazionale e i loro centri di potere non sono di loro disponibilità a seconda di ciò che più gli aggrada.
Revocando il proprio consenso all’adesione della moneta unica verrebbe meno anche l’obbligo di rispettare il fiscal compact(art.14 par.5)(4), ma non l’obbligo del pareggio di bilancio, che resterebbe costituzionalizzato; tornare allo status antecedente all’adesione avrebbe anche il supporto legale dell’art.69 e 56 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati(5), perché è ipotizzabile chiedere l’insostenibilità dell’insieme dei criteri di convergenza; tuttavia, resto convinto che non basta un decreto legge e men che meno una consultazione referendaria per uscire dall’Eurozona, ma atti normativi efficaci sia sul piano interno che esterno, cercando di creare un quadro legale per il ritiro dall’Euro, magari prendendo spunto dal regolamento CE 1103 e agendo al contrario(6).
Chi minimizza la portata degli impegni e degli obblighi internazionali e comunitari forse trascura la distinzione tra trattati ed atti derivati e non considera la complessità degli atti comunitari entrati a far parte nel nostro ordinamento; se potessi usare una metafora, direi che non si può pensare che cessata la pioggia il terreno diventi subito secco, ma lo diventerà a seconda di quanto risplenderà il sole e se ci saranno o meno le nubi nella volta del cielo.
Il sole è l’intensità della politica a rimuovere gli effetti senza danneggiare i terreni, e le nubi la capacità di ostacolare la forza innovatrice della politica, attraverso opposizioni parlamentari e gli atti giuridici dei Tribunali e delle Corti; ipotizzo che ci sarà molto nuvoloso e che i terreni rimarranno per molto tempo paludosi.
Una di queste “nubi” potrebbe essere il regolamento comunitario 593/2008 che per effetto della diretta applicabilità costituirebbe un ostacolo per chi pensa di ripristinare la moneta sovrana incorporando gli eventuali effetti inflattivi all’interno del decreto legge, o modificando alcuni articoli del codice civile, in particolare il 1277 e il 1278 allo scopo di consentire un cambio della moneta con l’Euro pari a 1.1(7), o forse prevedendo un credito di imposta per attenuare gli effetti negativi della svalutazione per le controparti.
Questa “nube” continuerebbe a sussistere anche con la moneta sovrana(perché rimarremmo ancora all’interno dell’Unione europea) perché le parti potrebbero aver scelto di regolare il proprio contratto con una legge extranazionale e in tal caso lo scudo protettivo della nostra legge italiana non avrebbe effetto.
Le parti hanno libertà di scelta sulla legge applicabile, anche in base alle norme del nostro codice di diritto internazionale privato, e di conseguenza si avrebbe un collegamento con un ordinamento diverso da quello del foro naturale.
Il regolamento, inoltre, fissa i criteri di collegamento in mancanza di scelta tra le parti, a meno che non risulti chiaramente la scelta.
In ogni caso, in mancanza di scelta, potrebbe accadere che la parte acquirente o venditrice si trovi come controparte rispetto allo Stato dove si applica una legge e nello stesso tempo quello Stato potrebbe essere lo Stato che adotti la nuova moneta in sostituzione dell’Euro.

Quali problemi rimarrebbero insoluti

Tutta l’impostazione commerciale comunitaria ed internazionale è impostata a grandi linee sulla libertà di commercio e sull’autonomia delle parti che costituisce il pilastro della libertà e dell’iniziativa economica, anzi è la pietra angolare del sistema; la tendenza a livello internazionale è quella di limitare(fino ad un certo punto s’intende) che le contingenti maggioranze politiche di uno Stato possano mettere in discussione l’attività contrattuale e gli affari negoziali dei privati, creando incertezze giuridiche e scoraggiando gli investitori esteri.
L’intento è di unificare il diritto commerciale comunitario ed internazionale8, perché solo una regolamentazione giuridica uniforme può contrastare la tendenza di fare affari e di investire laddove non vi siano criticità nei tempi del processo o incertezza nella normativa sostanziale commerciale e va da sé che non può bastare la lex mercatoria (ossia un sistema di norme create dalle imprese senza la mediazione legislativa) non essendo una legge dello Stato, ma dovendo (le aziende) far sempre più uso degli arbitri internazionali; la prassi degli affari diventa sempre più complessa e non può attendere le formalità dei processi civili degli Stati poiché i traffici internazionali economici sono in aumento ed abbisognano di risposte veloci, chiare ed efficienti da parte della Giustizia; se ciò non accadrà, in futuro è ipotizzabile una tendenza da parte delle aziende a denazionalizzare i loro contratti commerciali, dove saranno sempre più gli Stati (sta già accadendo) a dover adattarsi alle aziende e non viceversa; pertanto anche la Giustizia italiana dovrà fare la sua parte per far competere il nostro sistema paese con le grandi potenze economiche.
In questa competizione tra sistemi-paese, non ha alcuna importanza la decisione di uno Stato se il resto del mondo adotta una politica diametralmente opposta, perciò se vogliamo rimanere con i piedi per terra, dovremo modificare il sistema tenendo conto del pensiero dominante a livello internazionale, salvando il capitalismo da se stesso, con disposizioni efficaci che consentano una sana concorrenza e regole chiare e trasparenti.
Chi non ci sta al sistema potrebbe correre il rischio di peggiorare la situazione, a meno che a livello geopolitico le grandi potenze adottino politiche condivise tendenti alla compensazione degli squilibri interni ed esterni superando soprattutto l’eccessiva finanziarizzazione dell’economia, così come auspicato da molti autorevoli leaders politici, economisti e opinionisti.
se dovessi sintetizzare, le aziende vogliono un sistema stabile normativo, processi veloci, norme chiare e non ambigue e zero operazioni ermeneutiche da parte degli operatori giuridici, in altre parole semplificare il sistema ed abbattere i costi dello stesso.
Le parti, dunque, potrebbero stabilire che la legge regolatrice del contratto appartenga ad un altro Stato, anche ad uno Stato terzo; se un decreto legge violasse o interferisse con un atto comunitario (in questo caso il regolamento) che rientra nell’ambito giurisdizionale della Corte di Giustizia, tale decreto legge potrebbe essere annullato.
Gli elementi problematici di tali atti normativi che permettono l’estraneità di un contratto rispetto all’ordinamento giuridico interno possono essere le molteplici leggi ordinarie o i giudici che possono essere due o più astrattamente competenti a trattare eventuali controversie, ma ci sono anche problemi afferenti alla diversità di valuta.
Inoltre non si può non parlare del debito estero.
Qualora si decidesse di uscire dall’Euro si rimborserebbe i contratti e i titoli di Stato in una moneta (probabilmente) svalutata, e ciò avverrebbe con l’assenso dell’Unione? Con l’impostazione giuridica, politica ed economica risultante dai Trattati? Da atti derivati e dalle sentenze fino ad ora emanate? O si pensa veramente di non vedere una reazione dei mercati speculativi? O che basti una legge sulla ridenominazione? Non lo credo, anche se è vero che non sono un’economista, ma è anche vero che se lascio per strada un buttafuori gravemente ferito dopo averlo fatto salire nella mia auto, mi aspetto delle conseguenze negative che possono spaziare dalle lesioni fisiche (percosse) fino alla denuncia per omissione di soccorso e non serve uno psicologo per aspettarsi ciò come reazione.
Vi potrebbero essere diversi profili di incostituzionalità che potrebbero vanificare il lavoro del Parlamento e del Governo (la palude come metafora), che spaziano dalla violazione della tutela del risparmio costituzionalmente protetto, nonché dall’eguaglianza di trattamento previsto dall’art. 3 della costituzione.
Potrebbero essere i tribunali degli altri Stati a giudicare i contratti impugnati e i debitori italiani potrebbero essere costretti a pagare in euro le loro passività.
La ridenominazione, in altre parole, sarebbe efficace per il paese interno, ma anche se la quasi totalità del debito pubblico è emesso in base alle leggi italiane, le obbligazioni private invece sono governate dalle leggi di un’altra giurisdizione e i tribunali potrebbero rigettare la ridenominazione per i creditori stranieri9.
In generale, a prescindere dall’Italexit, ogni azienda si chiederà chi avrà cognizione in caso di controversia legale, e studierà tutto ciò che possa comportare minori incertezze legali e quindi minori costi , valutando se esiste un trattato sul riconoscimento reciproco delle sentenze o se lo Stato riconoscerà solo le sentenze dei propri giudici, magari con il riesame della sentenza straniera , ma anche se esistono meccanismi di risoluzione delle contese giudiziarie alternative, magari raggiungendo un accordo bonario attraverso la mediazione.
La soluzione meno costosa è ciò che evidentemente interesserà un’azienda, e non se uno Stato ritiene conforme o meno da un punto di vista etico, il comportamento della stessa; se poi pensiamo che non esistono cause dall’esito certo, si può ben capire come il mondo economico e finanziario (almeno una sua parte) cercherà soluzioni alternative sempre più al di fuori del circuito giudiziario, conformandosi a decisioni extragiudizarie, facendo sempre più leva sulla credibilità dell’azienda nel mondo degli affari.
La storia dell’integrazione europea, altro non è che il tentativo (malriuscito fin che si vuole) di dare una risposta ad una molteplicità di problemi che partendo da un piano economico, mirava e mira (o dovrebbe mirare) a creare un grande sistema integrato e federato avente pochi centri decisionali con il compito di armonizzare i sistemi legislativi degli stati nazionali, allo scopo ( in linea teorica) di migliorare il benessere delle popolazioni coniugando il liberismo (con la cosiddetta “forte competitività”) con le regole per renderlo operativo; ciò che è diventato è sotto gli occhi di tutti, ma non si può dire che non abbia una logica interna; poi si potrà criticare sin che si vuole, ma la logica c’è.
Dal Trattato di Roma del 1957, fino al Trattato di Lisbona si può affermare che vi siano stati molteplici tentativi miranti all’unificazione, con una breve interruzione collocabile intorno agli anni’70; la storia dell’Unione è la storia dell’aspro dibattito e delle contese fra federalisti e confederati e in questi ultimi tempi degli euroscettici od eurocontrari contro gli europeisti; il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri ha dovuto tener conto delle specificità storiche e legislative degli Stati e della lunga durata della guerra fredda; con il crollo del muro di Berlino, mutati gli scenari geopolitici, vi sono state le condizioni per un allargamento dell’Unione Europea, i cui intendimenti erano già presenti molto tempo prima e non sono un fenomeno riconducibile a pochi uomini, anche se potrebbero aver avuto un forte ruolo di accelerazione nell’integrazione Europea; chi parla di traditori della Patria dovrebbe allora “processare” tutti i giudici delle corti interne ed esterne, tutti i Parlamentari e i Governi che hanno reso possibile questa unione a partire dal 1957, anno della stipula del Trattato di Roma.
Su quali basi si potrebbero “processare” i cosiddetti traditori? Chi ha introdotto lo SME (secondo una certa scuola di pensiero abbiamo scongiurato il disordine monetario)? Oppure processiamo chi ha introdotto il Trattato di Roma nel 1957? Se anche fosse possibile farlo, si rischierebbe di comprimere la possibilità della politica in un dato momento di scegliere le politiche più opportune, perché la generazione seguente potrebbe condannare le scelte precedenti non più con le semplici innovazioni legislative, ma con uno strumentario giuridico che se fosse realizzabile farebbe tremare i polsi per l’uso ed abuso che ne verrebbe fatto (ed è qui l’importanza cruciale della Corte costituzionale nel mettere i paletti giuridici necessari per evitare una deriva autoritaria o terroristica di un Governo estremista).
La logica sottostante(condivisibile o meno) dell’Europa è di rendere possibile i traffici commerciali nel rispetto delle leggi nel quadro della concorrenza, se poi si è verificato un altro scenario, la logica non cambia, semmai la causa è da ricercare altrove.

Il fenomeno Euro

Il fenomeno Euro non si può comprendere se non si guarda il passato, perché l’adozione della moneta unica è stata frutto di un’evoluzione che partendo da alcuni rapporti(Werner e Delors) e passando per l’atto unico europeo (1986) hanno introdotto la cooperazione in materia di politica economica e monetaria.
La moneta dunque è stato il risultato di un pensiero di fondo federale che vuole l’Europa sempre più integrata, convinti che sia un processo auspicabile per potenziare la forza economica degli Stati nel loro complesso.
L’obiettivo della moneta unica era presente nell’art. 2 del TUE poi trasposto nel Trattato di Lisbona(10).
Si mantiene ancora la politica economica al di fuori del circuito sovranazionale, anche se gli Stati sono tenuti a degli indirizzi di massima dettati dal Consiglio, mentre la stabilità dei prezzi e la politica monetaria è stata ceduta al sistema SEBC e della BCE.
L’Unione Europea si fonda su un rigido sistema di controllo delle finanze pubbliche con dei mezzi vincolanti per correggere i disavanzi eccessivi, un sistema che ha provocato le critiche più aspre da parte del “partito della spesa pubblica” e delle loro ragioni (parziali e soggettive) economiche.
La crisi del 2008 e la crisi del debito sovrano di alcuni paesi hanno peggiorato la situazione, dimostrando scarsa solidarietà da parte dei Paesi centrali a scapito della periferia, in altre parole dimostrando scarsa sensibilità europeista per ragioni nazionali; con l’eccessivo rigore si è perso di vista l’insieme e si è ritornati al particolarismo, unendo le ragioni nazionali con una visione punitiva ( il rigore, ossia una politica tutta volta al contenimento della spesa pubblica) non confacente allo spirito europeo.
Ritengo che questo “spirito punitivo” sia ancora presente nei paesi del centro, perché questi Stati (o meglio le loro classi dirigenti economiche e politiche) sono convinti a torto o a ragione che gli Stati della periferia abbiano vissuto al di sopra delle loro possibilità e su questa logica sono stati istituiti nuovi e più penetranti strumenti di stabilizzazione e di assistenza finanziaria; in caso di difficoltà finanziarie i Paesi membri potranno chiedere assistenza finanziaria, ma tali misure saranno soggette ad un programma di aggiustamento macroeconomico.
Sto parlando del MES e del Patto di bilancio (Fiscal compact) che tanto ha fatto discutere in Europa; la governance economica oggi, in Europa, è una lotta tra rigoristi ed antirigoristi, tra chi pensa di attenuare le rigidità del pacchetto di misure legislative dirette a rafforzare il controllo delle politiche finanziarie degli Stati membri e tra chi pretende rigore e rispetto della tempistica(Germania in primis).
Tra gli antirigoristi vi sono anche gli eurocontrari duri e puri che fanno leva sul malcontento per avere il consenso necessario per abbandonare sic et simpliciter il sistema dell’Eurozona non escludendo neppure l’uscita dall’Unione Europea.
Se sia giusto o meno non spetta a me dirlo.
Ai posteri l’ardua sentenza.

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April 30, 2021, 5:35 AM
Fonte – articolo originale in lingua inglese
Dove si ferma il dollaro nell’UE? Ci sono state molte dita puntate mentre gli europei cercano di capire perché i loro sforzi di vaccinazione sono così indietro rispetto a gran parte del resto del mondo. Per molti versi, l’incapacità dell’UE di produrre una fornitura adeguata del suo vaccino è il tipo di fallimento sociale catastrofico che sembra incriminare interi regimi, non semplicemente singoli attori. Nessuno è abbastanza potente da produrre da solo un fallimento così sfaccettato.

Eppure gran parte della colpa e della rabbia si sono meritatamente scaricate sulla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Estrometterla, come ha chiesto di recente l’ex presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, sarebbe comprensibile data la sua cieca fiducia nelle forze del libero mercato per amministrare gli sforzi di vaccinazione dell’Europa e i tentativi vacillanti di sopperire alle carenze che ne derivano.

Ma sarebbe un errore incolpare von der Leyen senza comprendere i più ampi fallimenti che in primo luogo hanno installato una persona con un record mediocre in una posizione così potente. Il problema finale con von der Leyen non è che ha pasticciato il lancio del vaccino in Europa. È che ha ottenuto la sua posizione attraverso una sorta di politica incestuosa e ossessionata dall’immagine che ha reso il pasticcio un’inevitabile.

I tedeschi potrebbero avere la reputazione di essere freddi e razionali, ma le madri svolgono un ruolo sorprendentemente importante nella cultura politica. Per i nazisti, la maternità era il massimo che una donna potesse sperare di ottenere. Hanno reso la festa della mamma una festa nazionale in Germania e hanno premiato le madri esemplari con il Mutterkreuz o “Croce della mamma”. Le madri erano forse ancora più essenziali nell’era del dopoguerra, tuttavia, quando la Germania fu in gran parte ricostruita dalle cosiddette Trümmerfrauen, donne che presero i loro nomi dai cumuli di macerie che aiutarono a ripulire e riutilizzare mentre i loro mariti e padri attendevano la liberazione da campi di prigionia. In questo contesto, non sorprende che le donne potenti siano quasi inevitabilmente materne in Germania. La cancelliera tedesca Angela Merkel è diventata una notevole eccezione, ma solo perché ha superato il peso, sotto forma di critica pubblica e scetticismo dei media, associato alla sua assenza di figli.

La comprensione da parte della Merkel di questa dinamica sarebbe un modo per spiegare la fiducia che ha riposto in un politico regionale non provato all’inizio del suo cancelliere. Von der Leyen sembrava certamente l’incarnazione perfetta della maternità: con sette figli suoi, aveva già scalato i ranghi inferiori dell’establishment politico tedesco promuovendo l’immagine di se stessa come una specie di supermamma, che preparava il pranzo al sacco e tendeva a fischiare mentre si destreggia tra affari di stato.

Von der Leyen, l'allora ministro degli affari sociali della Bassa Sassonia, con i suoi sette figli e suo marito, Heiko von der Leyen, mostra i biscotti che hanno sfornato ad Hannover, in Germania, l'11 novembre 2003. JOCHEN LUEBKE/DDP/AFP via Getty immagini

Oggi, l’immagine della power-mom con un grande lavoro e una nidiata più numerosa è diventata un luogo comune nella politica globale, specialmente a destra. Frauke Petry, ex leader del partito di estrema destra tedesca Alternativa per la Germania, è stata particolarmente evidente nell’usare i suoi sei figli a proprio vantaggio politico, in modi che ricordano l’ex governatore degli Stati Uniti Sarah Palin, i cui cinque figli e il soprannome di “mamma grizzly” erano costantemente sfruttata per il guadagno politico quando condivideva un biglietto con l’allora U.S. Il senatore John McCain nel 2008.

Von der Leyen, con meno impulsi populisti di Petry o Palin, ha trovato il modo di investire nuova sostanza nella politica tedesca della maternità. Inserito dalla Merkel al vertice sia del ministero degli Affari familiari che del ministero del lavoro nei governi successivi, von der Leyen è stata responsabile dell’introduzione di nuove direttive intese a reinserire le madri nel mondo del lavoro. Tra questi c’erano l’introduzione di Elterngeld, un programma che sostituisce una parte sostanziale degli stipendi dei genitori che si prendono un congedo dal lavoro per prendersi cura dei figli, e un programma che amplia i programmi di assistenza diurna pubblica in modo che siano disponibili per i bambini 12 mesi. Entrambi i programmi sono diventati così completamente parte della vita pubblica in Germania che può essere difficile immaginare quanto fossero controversi quando furono introdotti per la prima volta, ma ciascuno è stato preso di mira, specialmente dai conservatori che li vedevano come un affronto alle strutture familiari tradizionali e inutilmente invadente per la vita privata.

Von der Leyen, con i suoi sette figli e forti legami all’interno dell’Unione Cristiano Democratica (CDU), era la persona perfetta per portare avanti queste riforme. È stata un esempio infinito della capacità delle donne di fare tutto. Ma un altro fattore chiave viene spesso trascurato: il suo lignaggio. Non dovrebbe sorprendere che von der Leyen sia stata abile nello sfruttare le immagini della gioventù e della famiglia per fini politici. Ha imparato dalle mani dei maestri.

Von der Leyen (a sinistra) con suo padre, Ernst Albrecht, posa per una foto di famiglia nel 1978. IMAGO-IMAGES via Reuters

Von der Leyen era lei stessa una dei sette figli, anche se sua sorella Benita-Eva morì tragicamente durante l’infanzia. È nata a Bruxelles nel 1958 da Ernst Albrecht e Heidi Adele Stromeyer. È stato un momento affascinante, anche se difficile, della storia tedesca. Il Wirtschaftswunder ha reso il paese il motore economico dell’Europa, ed è stato unito a una ritrovata fiducia nel ruolo economico e difensivo centrale della Germania nel nuovo ordine mondiale. C’erano pochi beneficiari più entusiasti del panorama politico in rapido cambiamento della famiglia Albrecht. Albrecht è stato uno dei primi funzionari dell’Unione europea. Aveva appena 37 anni quando è stato nominato alla più alta carica di servizio civile presso la Direzione Generale della Concorrenza, dove ha supervisionato le operazioni antitrust della nascente Unione Europea.

Albrecht divenne insoddisfatto della vita a Bruxelles, tuttavia, e tornò nella sua casa ancestrale ad Hannover, in Germania. Fu presto eletto alla carica di ministro presidente (o governatore, in dizione statunitense) della Bassa Sassonia, carica che mantenne tra il 1976 e il 1990. Albrecht aveva una reputazione come politico la cui influenza superava la sua carica ed era una scelta perenne per il prossimo cancelliere della CDU. Sebbene non abbia mai ricoperto cariche superiori, lui e la sua famiglia erano costantemente sotto i riflettori. Non può essere una sorpresa. I bambini erano biondi, belli e talentuosi, e la Stromeyer sembrava fredda e sovrana davanti alla telecamera come suo marito.

In effetti, in un certo senso, la Germania pensa ancora a von der Leyen come alla bambina di Albrecht. Mentre la Merkel senza figli si è guadagnata il soprannome di “mutti”, o mamma, von der Leyen porta ancora il soprannome che le è stato dato da suo padre: “Röschen” o “Piccola Rosie”. Ridurre von der Leyen alla figlia di suo padre, come si fa quando la si chiama “Röschen”, significa trascurare il fatto che ha superato di gran lunga i suoi successi politici. È un soprannome terribile. Un soprannome migliore avrebbe potuto essere “die hübsche”. Significa “quella carina” nel gergo di tutti i giorni, quindi potrebbe non sembrare un miglioramento in termini di misoginia. Ma ha anche un’altra storia. Ad Hannover, le “hübsche Familien” erano famiglie quasi nobili che avevano un accesso speciale alla corte. La famiglia Albrecht ha ricoperto questo status e posizioni chiave nella politica tedesca per oltre 500 anni.

La cancelliera tedesca Angela Merkel e von der Leyen, allora ministro del Lavoro e delle questioni sociali, votano durante la convention del partito dell'Unione Cristiano Democratica ad Hannover, in Germania, il 4 dicembre 2012. Sean Gallup/Getty Images

Non sorprende che i successi di von der Leyen nei ministeri del lavoro e della famiglia siano serviti a renderla, per un certo periodo, il naturale successore della Merkel come leader della CDU. Le politiche, nonostante alcune lamentele sulle disuguaglianze tra le classi sociali, erano ampiamente popolari a sinistra mentre la stessa von der Leyen era molto popolare tra i centristi tedeschi. Il suo prossimo lavoro, come ministro della Difesa tedesco, sarebbe stato un trampolino di lancio naturale verso il massimo dei posti di lavoro; Helmut Schmidt era già passato da quella posizione al cancelliere tedesco nei decenni precedenti. Quando von der Leyen è entrata in carica nel 2013, la Merkel era già cancelliera da otto anni e sembrava probabile che von der Leyen, dopo un incarico alla guida dell’esercito tedesco, l’avrebbe sostituita.

Ma la carriera di von der Leyen ha vacillato al ministero della Difesa in modi che prefiguravano i suoi fallimenti a Bruxelles, ed erano del tutto in linea con i suoi precedenti successi. I ministeri della famiglia e del lavoro sono importanti siti di sviluppo politico e hanno permesso a von der Leyen di ostentare la sua notevole abilità nel ridistribuire il denaro delle tasse in modi che rappresentassero i bisogni delle famiglie tedesche. Ma le sfide manageriali del ministero della Difesa sono di tutt’altro ordine. Non solo von der Leyen non aveva mai mostrato interesse per la politica di sicurezza. Nei suoi primi incarichi, von der Leyen guidava principalmente piccole squadre di fedeli deputati; in difesa, è diventata improvvisamente il capo di centinaia di migliaia di persone e responsabile di un budget annuale di oltre 48 miliardi di dollari. Nei suoi numerosi successi precedenti, non ha mai dimostrato una particolare abilità nel supervisionare il tipo di enormi problemi logistici globali che i militari devono affrontare ogni giorno come una cosa ovvia, o anche nel navigare le dinamiche interne di organizzazioni complesse come la Bundeswehr, le forze armate tedesche.

Non sorprende, forse, che una delle sue prime riforme al ministero della Difesa abbia comportato la creazione di centri diurni dell’esercito (o “Kitas”). Anche in questo caso, i tipi di lavoro di cura sostenuti da von der Leyen erano di fondamentale importanza, sia a livello sociale che militare. La Germania abbandonò il servizio militare obbligatorio solo pochi anni prima che von der Leyen iniziasse a ricoprire il ruolo di segretario alla difesa e l’esercito si stava adattando al suo nuovo status pienamente professionale. Il Kitas era solo una delle numerose misure introdotte da von der Leyen per rendere l’esercito più adatto alle famiglie. Ha anche tentato di legare i congedi dei soldati alle vacanze scolastiche, consentire ai soldati di lavorare part-time mentre continuavano a progredire nella loro carriera e limitare il numero di ricollocamenti che i soldati con famiglie dovevano sopportare. Non bisogna sottovalutare l’importanza di queste misure; non solo erano cruciali per mantenere un esercito permanente, ma c’è anche motivo di ritenere che un esercito più favorevole alle famiglie sia meno suscettibile all’estremismo di destra rispetto a uno che si basa su un modello più tradizionale di famiglia.

Ma se le potenti connessioni di von der Leyen, il comportamento aristocratico e l’esperienza dei media sono stati sufficienti per portarla attraverso un periodo alla guida dei ministeri della famiglia e del lavoro tedeschi, le hanno deluso il suo ruolo di capo dell’esercito tedesco. Può sorprendere, davvero, che una persona che non ha alcuna precedente esperienza in politiche o strategie di difesa, né una sostanziale esperienza nella gestione di grandi organizzazioni nel settore privato o pubblico, fallisca in un ruolo così complesso e vario?

Von der Leyen, allora ministro della Difesa, visita la nave scuola a vela tedesca Gorch Fock in un cantiere navale di Bremerhaven, in Germania, il 21 giugno 2019. Fabian Bimmer/REUTERS

Von der Leyen ha ricoperto la carica di ministro della Difesa dal 2013 al 2019, una corsa notevole considerando la sua inesperienza. Ma quando le cose sono crollate, sono crollate rapidamente e hanno rivelato una serie di cattiva gestione, incompetenza e potenziale corruzione. Lo scandalo è solitamente chiamato “l’affare del consulente” a causa delle centinaia di milioni di dollari che von der Leyen e il suo vice capo Katrin Suder hanno pagato ai consulenti che erano responsabili di aiutare a determinare come l’esercito avrebbe dovuto spendere il suo consistente budget per gli armamenti. In realtà, tuttavia, furono proprio i problemi con gli appalti a portare alla caduta politica di von der Leyen in Germania. E non è un caso che sia stato in qualità di ministro della Difesa che von der Leyen abbia riscontrato problemi con gli appalti. È la complessità delle spese della Bundeswehr – e l’ubiquità dei lobbisti – che hanno a lungo trasformato la posizione di potere in una trappola. I ministeri del lavoro e della famiglia tedeschi si occupano di un numero relativamente piccolo di fornitori e gran parte del loro tempo viene speso per procurarsi oggetti che hanno familiarità con la vita di tutti i giorni. Ci sono, ovviamente, sfide più complicate anche in entrambi questi ministeri, ma nulla che si avvicini alla difficoltà di fornire un esercito moderno. Von der Leyen ha fallito in un modo davvero spettacolare.

Il Gorch Fock, un veliero — con le vele! — utilizzato dalla Marina tedesca per l’addestramento è stato attraccato per le riparazioni nel 2015, poco prima che von der Leyen assumesse l’incarico. Il costo stimato era di $ 11,6 milioni. Quando ha lasciato l’incarico nel 2019, il costo stimato per la riparazione della nave scuola era salito a 163 milioni di dollari. Le componenti mission-critical delle spese per gli armamenti di von der Leyen sono andate anche peggio. Nel 2017, secondo N-TV, 97 nuovi sistemi d’arma sono stati consegnati alla Bundeswehr. Solo 38 erano funzionanti.

Inoltre, von der Leyen e Suder hanno cancellato i dati dei cellulari e censurato i documenti in modi che hanno sollevato i sospetti degli esperti. Le loro evasioni sono state così estreme che Tobias Lindner, che è l’esperto di difesa del Partito dei Verdi al Bundestag, ha chiesto ai pubblici ministeri di indagare su von der Leyen per potenziali illeciti criminali. “Va oltre una controversia politica”, ha detto Lindner alla Süddeutsche Zeitung nel 2019. “Ha reso molto più difficile chiarire il caso e potrebbe essere perseguibile penalmente”.

Von der Leyen dialoga con il presidente francese Emmanuel Macron prima dell'inizio del vertice dell'UE a Bruxelles il 18 luglio 2020, il primo vertice faccia a faccia dei leader dell'UE durante la pandemia. FRANCISCO SECO/POOL/AFP tramite Getty Images

Tutti erano in gran parte disposti a trascurare il fondamentale dilettantismo di von der Leyen quando sosteneva un maggiore sostegno sociale per le madri lavoratrici. E rimane una notevole testimonianza delle esperienze condivise di madri in diverse situazioni, così come della solidarietà di von der Leyen con altre madri tedesche, che le riforme che ha introdotto per aiutare le donne a conciliare carriera e famiglia hanno avuto un così grande successo.

È deplorevole, tuttavia, che Macron e il resto della Commissione europea siano rimasti così abbagliati dalla straordinaria incarnazione della “cultura europea” di von der Leyen che si sono rifiutati di ascoltare gli avvertimenti dei tedeschi che sapevano quanto male avesse pasticciato il suo ultimo grande sforzo di approvvigionamento. In effetti, i tedeschi diffidavano di lei così tanto che la sua nomina a guidare l’Unione europea è stata ampiamente accolta con scetticismo nel paese, sebbene sia la prima tedesca a ricoprire la carica dopo Walter Hallstein nel 1958.

Ciò che è straordinario non è che abbia fallito così tanto nella posizione. Dopotutto, è cresciuta giocando sui suoi legami familiari. Ciò che è, tuttavia, notevole è che ha fallito quasi allo stesso modo delle sue ultime due posizioni. Alla guida della Bundeswehr, ha affidato gli sforzi di approvvigionamento dell’esercito alla logica di mercato neoliberista sposata dai consulenti di gestione e le cose sono andate male. Alcuni anni dopo, responsabile degli sforzi di approvvigionamento dei vaccini in Europa, è stata criticata per aver riposto troppa fiducia nel libero mercato, non insistendo sul controllo centralizzato della produzione e distribuzione dei vaccini all’interno dell’Unione Europea. Di conseguenza, le persone stanno morendo.

Per qualsiasi altro politico, si sospetta che sarebbe stato un errore di fine carriera. Ma il mondo funziona in modo diverso per von der Leyen e la stampa si è già ampiamente spostata dalla sua disastrosa cattiva gestione degli sforzi di approvvigionamento dei vaccini in Europa. È una delle hübsche, i pochi privilegiati della Germania.

Correzione, 3 maggio 2021: una versione precedente di questo articolo identificava erroneamente un ex ministro della Difesa.

Peter Kuras è uno scrittore, traduttore ed editore che vive a Berlino.

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Da Wikipedìa:

l Manifesto di Ventotene – che aveva come titolo originale Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto – è un documento per la promozione dell’unità politica europea scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi (con il contributo di Eugenio Colorni) nel 1941 durante il periodo di confino presso l’isola di Ventotene, nel mar Tirreno, per poi essere pubblicato da Eugenio Colorni, che ne scrisse personalmente la prefazione. È oggi considerato uno dei testi fondanti dell’Unione europea.
Pubblico integralmente il manifesto di Ventotene (non capisco perchè tanto acclamato…) affinchè tutti noi prendiamo atto che non si tratta di complotti, fake news o amenità che disturbano la narrativa ma di vere e proprie decisioni politiche, economiche e ideologiche con l’unico obbiettivo di creare le condizioni per un ‘colpo di stato internazionale’ di stampo socialista, in barba a ogni risultato elettorale. E’ compito nostro di difendere la democrazia da questi attacchi e da quelli che arrivano attraverso l’uso errato del termine accoglienza. Fino a prova contraria accoglienza è l’azione e il modo di ricevere un visitatore o un ospite. Visitatore (guest). E’ curioso perchè in informatica in sistemi seri come Unix/Linux o Plan9 l’utente guest non ha pressochè alcun diritto di cambiamento della struttura del sistema ma può conviverci e utilizzarlo proficuamente! Un esempio tecnologico di accoglienza! Ora passiamo alla definizione di invasione. Il Treccani come secondo significato (il primo riguarda esclusivamente la guerra) propone:
[…] 2. Con riferimento soprattutto alla storia medievale, la penetrazione in un territorio di popoli che migrano in cerca di nuove sedi: le i. barbariche; l’i. degli Unni, o di Attila; l’i. della Spagna da parte dei Vandali; l’i. longobarda, in Italia. c.. Irruzione violenta o arbitraria di persone in un luogo: […]
Quando qualcuno, ospite, non sta più alle regole di casa mia pretendendo di cambiarle e impormele, a casa mia ripeto, non è più gradito. Se per qualcuno funziona diversamente si faccia sentire… Allego inoltre un’immagine del quotidiano La Verità che svela, con frasi citate dallo stesso manifesto socialista, la vera identità di questi personaggi.

Manifesto di Ventotene

Dott. Urb. Giacomo Calearo

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